Poliartrite e nutrizione clinica
La nutrizione clinica contribuisce a contenere la risposta infiammatoria ed è utile associarla nel trattamento della poliartrite. La poliartrite infiammatoria cronica, comunemente chiamata artrite reumatoide, trova la sua causa in processi autoimmuni. Si differenzia dall’ artrosi sopratutto per la fenomenologia autoimmune. Di poliartrite sono più colpite le donne e il numero dei casi aumenta con l’ età. La sinovia, una membrana di origine mesenchimale è il bersaglio dei processi autoimmuni della poliartrite. In una prima fase della malattia cresce in spessore e comincia a erodere perifericamente la cartilagine. Arrivata successivamente a contatto con l’ osso, erode anche questo. Generalmente la poliartrite coinvolge le piccole articolazioni in particolare le mani. Quando la infiammazione coinvolge i tendini e allora si avranno manifestazioni cliniche diverse: “il dito a collo di cigno”, “il dito a bottone in occhiello” oppure “dito a martello”. la poliartrite è sistemica quindi può coinvolgere anche altri organi e apparati. Tipici sono i noduli reumatoidi, superficiali o profondi, che possono formarsi anche a livello polmonare. Ci può essere fibrosi polmonare, pleurite o pleuropericardite. Si chiamano malattie autoimmuni quelle denotate dalla produzione di anticorpi contro lo stesso organismo affetto dalla malattia. Nella poliartrite che appartiene alle malattie autoimmuni, l’ infiammazione cronica è associata a un’alterazione neuroendocrina che impedisce il suo estinguersi. Un deficit nella risposta dell’ asse immunoendocrino determina la difficoltà a ridurre la attività infiammatoria in corso. La condizione è complessa perché oltre all’ insufficienza della secrezione del cortisolo come risposta a stressors si evidenzia anche un’inerzia nel ripristino dei suoi livelli basali. Questa caratteristica è denominata perdita della ritmicità circadiana della asse neuroimmunoendocrino. Le forme autoimmuni sono quindi caratterizzate, indipendentemente dalla causa scatenante dello stato infiammatorio, dalla inadeguatezza della reazione neuroimmunoendocrina a contenere ed eventualmente estinguere la flogosi, con la conseguenza di giungere al danno dei tessuti sani. I pazienti con poliartrite evidenziano però anche un quadro emozionale spesso coincidente con la loro condizione somatica. Il paziente con poliartrite sul piano emotivo non è spesso in grado di aggredire i suoi consimili per difendere se stesso e i propri interessi. Il paziente si trova emotivamente predisposto ricorrere a comportamenti lesivi del proprio interesse o benessere.
Per la diagnosi è importante anche la positività per circa la 80% dei pazienti del fattore reumatoide determinabile tramite analisi in laboratorio. Un ulteriore marcatore la anticorpo anti-peptidi ciclici citrullinati. La VES e PCR sono generalmente positive anche se non sufficientemente specifiche. Il trattamento convenzionale è a base farmacologica. Si somministrano farmaci sintomatici, cioè FANS e corticosteroidi e farmaci antireumatici ovvero modificanti la malattia. Nella poliartrite è possibile anche usare la fisioterapia per alleviare gli effetti sulla mobilità e sul dolore. Da valutare in alcuni casi di malattia autoimmune è il ricorso alla psicoterapia.
La nutrizione clinica può invece essere impegnata nel trattamento della poliartrite per limitare il danno prodotto dall’ infiammazione cronica con strategie alimentari atte a diminuirla progressivamente. In tale contesto è necessario anche contrastare l’ acidosi associata all’ infiammazione cronica. Le abitudini alimentari interferiscono in modo significativo con il corretto equilibrio del cortisolo. Stress e nutrizione inadeguata comportano, infatti, una disregolazione anche del ritmo circadiano dei glucocorticoidi. Il cortisolo dovrebbe esprimere la sua acrofase circadiana intorno alle nove del mattino e la sua batifase circadiana a mezzanotte. Alla presenza di stress sia endogeno, sia esogeno e a ritmi alimentari non coerenti, si assiste a un’alterazione dell’asse HPA. Questa è caratterizzata da perdita d’equilibrio tra gli ormoni CRH, ACTH e cortisolo. Gli effetti negativi di una circadianità perduta cortisolo e delle alterate retroazioni ormonali comportano tra oltre altre infauste conseguenze un’interferenza con la equilibrio ormonale e l’alterazione della corretta risposta infiammatoria. Una nutrizione coerente con le retroazioni ormonali oltre a comportare un efficiente processo digestivo determina anche una migliore risposta immunitaria. Tale condizione corrisponde per il paziente autoimmune a un equilibrio più favorevole sul piano immunitario. Il paziente alimentato con una sequenza nutrizionale, corretta da rapporti glicemici commisurati alla circadianità del cortisolo e soprattutto conservanti la massa magra, è contenuto nella risposta autoimmune. Nutrizione e risposta immune sono interconnessi da precisi rapporti ormonali, biochimici e metabolici. La nutrizione clinica può interferire favorevolmente su tali rapporti tramite feedback ormonali, contribuendo a migliore gestione della poliartrite autoimmune.
La nutrizione clinica oltre a rappresentare un presidio per la terapia è anche uno strumento di prevenzione importante. La nutrizione e la cura sono interconnessi da precisi rapporti ormonali, biochimici e metabolici. Il trattamento tramite nutrizione clinica è integrativo di altri strumenti di terapia. La nutrizione clinica richiede, esami strumentali, valutazione dei sintomi e delle cause, diagnosi, conoscenza dei rimedi adatti al paziente, conoscenza di tutte le altre forme di terapia per la quali la nutrizione clinica possa costituire alternativa o integrazione. Pertanto somministrare nutrizione clinica è atto medico e deve essere esercitata da un medico competente. Per la nutrizione clinica si consiglia di rivolgersi a un medico che operi solo tramite la verifica strumentale delle sequenze nutrizionali e delle terapie associate proposte al paziente. Sequenze nutrizionali basate solo sull’esperienza del medico, senza verifica strumentale della composizione corporea e degli altri parametri sono caratterizzate da imperfezioni metodologiche non necessarie. Il trattamento in nutrizione clinica del paziente non si contrappone ne sostituisce le linee guida della medicina convenzionale. Al contrario la nutrizione clinica stabilisce con esse una virtuosa collaborazione e una straordinaria opportunità anche a livello di prevenzione.
Dott. Fabio Farello, Roma